Anzola D’Ossola (NO) 6 agosto 1944


Dal primo agosto è in corso “la battaglia del Massone”.
La valle del Monte Massone (mt.2161) si apre e scende per diverse località; già dai primi mesi di lotta contro il nazifascismo il luogo è usato da varie formazione partigiane come zona di sosta.
Dai primi di agosto tutti i reparti partigiani accampati in Camosca, in Valstrona e nella Valle del Massone sono impegnati in scontri con le forze fasciste provenienti dalla Valsesia per un’operazione di rastrellamento. La battaglia dura parecchi giorni, il nemico è ben equipaggiato e riceve forze “fresche” da usare in battaglia, mentre i partigiani scarseggiano di armi e viveri.

Comunque combattendo e spostandosi velocemente i partigiani riescono ad evitare di cadere nelle mani nemiche. Anche una squadra della “Beltrani” riesce ad aprirsi un varco; sono esausti, stanchezza e fame li costringono a scendere ad Anzola D’Ossola, dove parroco e popolazione li rifocillano.
I 13 giovani della formazione “Beltrani” pernottano in paese. All’alba in paese entra un forte contingente di brigate nere e di tedeschi. I giovani patrioti fra cui Bagaini (che ha appena 16 anni), Mira d’Ercole, Ferri, Paganotto e Rizzoli (ne hanno compiuti 19), Verrua e Morea (21 anni e gli altri non superano i 23 anni, tentano di evitare lo scontro inerpicandosi per uno scosceso sentiero, ma vengono avvistati dal nemico, non essendo in grado di defilarsi decidono di fermarsi e tentare una disperata difesa.
Resistono ma le munizioni vengono meno; è la fine.
Bagaini, Ferri, Paganotto, Tosi, Verrua, Villa ed il cecoslovacco Jara, rimangono feriti e vengono immediatamente passati per le armi.
Gli altri sei: Mira d’Ercole, Mordenti, Morea, Rizzoli, Rossi ed il greco “Aristotele” vengono catturati e trascinati giù sino alla piazza del paese. Il parroco del paese, don Saviani implora e supplica per la salvezza dei giovani; ma riesce ad ottenere solo il permesso di confessare i “condannati a morte”. La gente ammutolita e terrorizzata deve assistere: a colpi di mitra i giovani volti vengono sfigurati.

Un partigiano rievoca l’eccidio nell’agosto ’44 a Anzola Ossola

Ero alla ricerca di notizie atte a farmi tornare al più presto al Comando di Divisione, che probabilmente, a seguito della battaglia del Monte Massone edel forzato sganciamento, per sfuggire all’accerchiamento delle preponderanti forze nazi-fasciste aveva attraversato la vallata trasferendosi nella vicina Val Grande.

Ero ansioso di rientrare, per poter riabbracciare mio fratello Piero e tutti i miei compagni garibaldini scampati al rastrellamento e che non vedevo da tempo.
Fu così che, camminando su agevoli ed ombrosi sentieri con passo svelto ma con cautela, raggiunsi le prime casupole di un piccolo paese. Era Anzola d’Ossola, prima d’ora non c’ero mai stato, la conoscevo solo così per sentito dire. In questo paesino, abitato da pochi contadini e operai, i garibaldini a turno scendevano da Corte Vecchio (M. Massone) per gli approvvigionamenti.
Mi sembra che ci fosse anche stato dislocato un Distaccamento del Batt.ne Fanfulla, comandato da Barbisun (Camisasca).
Il paese sembrava abbandonato, tutte le porte e le finestre delle case erano chiuse, i campi erano deserti.

Mi inoltrai attraverso i pochi viottoli col fiato sospeso, bussai ad alcune porte, ma tutto era silenzioso; udivo solo il cinguettio degli uccelli, ed il fruscio di una fresca e leggerà brezza.
Era una chiara giornata di agosto, il sole era riapparso dopo tanti giorni di bufera. Per un attimo mi sentii ancora solo, in una zona sconosciuta, forse con il feroce nemico ancora nelle vicinanze in agguato. Ebbi un momento di sconforto e di paura; mi sedetti su uno spiazzo d’erba, a riparo, anche per riprende forza e coraggio. Da parecchi giorni ero solo, così in balia del destino, possedevo solo un misero vecchio moschetto (che adoravo e accarezzavo) con poche pallottole, ed una bomba a mano di fabbricazione tedesca.

Chi ha vissuto la vita partigiana, meglio di altri comprenderà e perdonerà questa parentesi di sconforto.
Mentre meditavo sul da farsi, sentii dei passi che s’avvicinavano; mi nascosi dietro un muretto imbracciando il mio moschetto, vidi che si stava avvicinando un giovane solo.
Era un partigiano garibaldino ben equipaggiato e bene armato; se ben ricordo imbracciava un mitra Beretta.

Uscii allo scoperto e con slancio reciproco ci abbracciammo, ci presentammo, disse: — Mi chiamo Meina (Travaini) sono un partigiano della 2a Divisione d’assalto Garibaldi — Redi, faccio parte del Reparto Guastatori, sono con Guido, fratello di Iso (Aniasi), a seguito del rastrellamento ho perso i contatti con i miei compagni. Conosco la strada per raggiungere il Comando che con la formazione al completo ha riattraversato la Valle ed ora si trova qui, sopra quel dirupo chiamato Piazza Grande.

Lo osservai, era un bel ragazze, molto giovane, con i capelli biondi, lo sguardo penetrante e deciso, molto sicuro di sè, in quel momento mi sembrava di avere al fianco un intero Battaglione, ripresi coraggio e mentre passo passo ci s’incamminava per raggiungere il sentiero della Speranza, arrivammo nella Piazza della Chiesa.

Davanti al cancello d’ingresso vi era un prete, ci fece cenno di avvicinarci. Il suo sguardo era bonario e commosso, ma forse sgomento e terrorizzato per quanto ci doveva raccontare.
Cominciò così: «Cari ragazzi, forse insieme, correndo qualche rischio, dovremo assolvere un pietoso e sacro dovere. Vedete quel piccolo Cimitero? E’ bagnato di sangue di tredici vostri compagni, trucidati in questa piazza, senza pietà e con ferocia bestiale dai nazi-fascisti. Erano patrioti della Brigata Beltrami, io e parte della popolazione, quella rimasta in paese, siamo stati costretti ad assistere impotenti a questo scempio efferato ».

Prosegue il prete: « Malgrado fossero stati sconsigliati, questi poveri ragazzi, forse anche perchè esausti per le lunghe marce forzate, per sottrarsi all’accerchiamento del nemico, e per riprendere un po’ di fiato, decisero di pernottare in paese. Purtroppo all’alba entrò in Anzola un forte contingente di Brigate nere e Tedeschi. Questi patrioti tentarono lo sganciamento, inerpicandosi per uno scosceso sentiero, a mezza costa, per raggiungere la montagna, ma purtroppo la sorte non fu benigna.

« Furono avvistati ed inseguiti dalla muta di aguzzini fascisti, assetati di odio e di sangue. I patrioti tentarono una disperata difesa rispondendo all’intenso fuoco del nemico; un loro compagno venne colpito a morte, ogni via di scampo era preclusa; si arresero sperando forse, data la loro giovane età, nella insperata clemenza del feroce aggressore. Vennero trascinati qui vicino al Cimitero, cercai di interporre i miei sacri Ministeri, per indurre il Comandante delle Brigate nere alla clemenza, tutto fu vano. « A uno per volta (gli altri dovettero assistere terrorizzati) questi eroici patrioti vennero posti in piedi sul margine di questo piccolo ruscello e quindi colpiti da brevissima distanza al viso da scariche di mitra, con il sadico proposito di sfigurarne le già contratte sembianze. I corpi caddero ad uno ad uno riversi nel piccolo ruscello, l’acqua gelida e trasparente si arrossò del sangue di questi martiri. Fu un attimo che durò una eternità, forse pensai che Dio mi avesse per un’istante abbandonato ». Il prete aveva gli occhi lucidi, forse non aveva più lacrime da versare. Entrammo in questo piccolo ed erboso Cimitero. All’ingresso della piccola Cappella giacevano tredici ragazzi senza vita e senza un volto umano. Il sangue sgorgava ancora fresco dalle ferite, e l’erba ne era inzuppata. Quella visione tragica non la dimenticherò mai.

Gilberto Bianchi

Fonte: RESISTENZA UNITA’ MAGGIO 1974

Autore: Comandante Lupo

Ho ricercato e raccolto storie di vita, di guerra, di resistenza. Ne ho pubblicate, altre sono ancora da scrivere. Sono sempre alla ricerca di nuove storie se vuoi aiutarmi nella ricerca contattami.

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